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La nostra storia

L’Istituto fondato da Madre Giuseppina Vannini è eminentemente di vita attiva, apostolica e pastorale, in un settore ben determinato: quello appunto del mondo della salute e della malattia.

Sorto nel solco della Famiglia Camilliana, attraverso P. Luigi Tezza che «ha ricevuto dallo Spirito Santo il dono di testimoniare l’amore sempre presente di Cristo verso gli infermi, nel ministero spirituale e corporale esercitato con rischio della vita». 

​A partire dalla Santa Giuseppina, con l’entroterra spirituale e la tradizione di S. Camillo, queste Suore vogliono rendere manifesta la fede che le spinge, nella carità, a vedere Cristo stesso negli infermi e trovano in questa presenza la fonte della loro spiritualità. Esse rappresentano quella madre Chiesa che accoglie e circonda di attenzioni particolari gli afflitti e i deboli, cerca con ogni premura di sollevare gli indigenti, servendo in loro lo stesso Cristo.

Così le Figlie di S. Camillo contribuiscono «al bene e alla promozione di tutta la famiglia umana le cui gioie e speranze, tristezze e angosce trovano eco nel loro cuore».

Di questo sono convinte e questo non è tanto un loro vanto, quanto un compito che sentono d’aver ricevuto e che le distingue chiaramente per un carisma tipico: esso viene loro da un legame con lo spirito di S. Camillo, da cui storicamente derivano ed a cui continuamente attingono. 

Il Concilio Vaticano II dava la consegna del «ritorno alle fonti e allo spirito primitivo degli Istituti, interpretando l’anima e le finalità dei Fondatori, con aderenza alle mutate condizioni dei tempi» (PC 2): consegna chiara per un rinnovamento della vita religiosa. 

San Camillo de Lellis

Il profetico P. Luigi Tezza, anticipando di ben settant’anni queste direttive del Concilio, avviava una nota di rinnovamento nel suo Ordine Religioso, con un ritorno alle fonti: riprendeva lo spirito di quel S. Camillo che voleva per i sofferenti la stessa premura e dedizione di una madre per il suo figliolo.

Egli rispondeva alle esigenze del suo tempo, creando un gruppo di religiose disposte a condividere l’ideale carismatico del Santo di Bucchianico, così da offrire al mondo della sofferenza della fine secolo XIX un’ulteriore presenza e dedizione.

La donna in quel periodo entra come operatrice privilegiata nel campo socio-sanitario e nei pubblici nosocomi grazie ad una nuova fase di sviluppo tecnico-assistenziale, avviato dalla giovane Florence Nightingale (1820-1910). 

Florence Nightingale

Il Tezza trasferì tutta la ricchezza del carisma dei Camilliani nella giovane Giuditta Vannini e nelle prime sorelle della nuova Congregazione da lui fondata: consegna l’eredità sacra di Camillo, la perla evangelica della carità.

La Vannini accolse la spiritualità di S. Camillo, facendola propria, risalendo cioè, attraverso l’umanità di Cristo, all’incarnazione e alla passione del Signore per scendere, poi, nel campo della misericordia concreta e dell’opera del buon samaritano.

Sulla Vannini, il Decreto per la beatificazione così si pronuncia:


«Con cura materna e con soprannaturale sapienza guidò la Congregazione perché fosse di gloria a Dio e di servizio agli ammalati, seguendo in ciò l’esempio di S. Camillo, maestro e modello di amorevole e misericordiosa dedizione ai sofferenti. […] Fu amorosamente vicina e assidua madre nei riguardi delle Sorelle della Congregazione, degli ammalati, dei poveri, dei peccatori… sollecita com’era della loro salvezza spirituale e corporale; e insegnava alle Suore a comportarsi allo stesso modo con gentilezza e senza risparmiarsi» .

Fondamento Evangelico della Spiritualità della Madre Vannini

Il fondamento evangelico del carisma della Vannini e delle Figlie di S. Camillo è precisato nella Formula vitae scritta da S. Camillo stesso, dove sono evidenti anche altri elementi teologici e spirituali.

“Se alcuno ispirato dal Signore Iddio vorrà esercitare l’opere di misericordia, corporali et spirituali, secondo il Nostro Istituto, sappia che ha da esser morto a tutte le cose del mondo, cioè a Parenti, Amici, robbe, et a se stesso, et vivere solamente a Gesù Crocifisso sot¬to il soavissimo giogo della perpetua Povertà, Castità, Obbedienza, et servigio delli Poveri infermi, ancorché fussero appestati, nei bisogni corporali, et spirituali, di giorno, et di Notte, secondo gli verrà commandato, il che farà per vero amor di Dio, et per far penitenza de suoi peccati; ricordandosi della Verità Christo Gesù, che dice, quod uni ex minimis meis fecistis, mihi fecistis; dicendo altrove: Infirmus eram et visitastis me, venite benedicti mecum, et possidete Regnum vobis paratum ante constitutionem mundi.

Percioché dice il Signore eadem mensura, qua mensi fueritis eadem metietur, et vobis. Attenda dunque al senso di si perfetta verità, consideri quest’ottimo mezzo per acquistare la pretiosa margarita della Carità, della quale dice il S. Evangelo, quam, qui invenit homo, vendit omnia bona sua, et emit eam. Imperoché ella è quella, che ci trasforma in Dio, et ci purga d’ogni macula di piccato, perché: Charitas operit multitudinem peccatorum.

Ogn’uno dunque che vorrà entrare nella Nostra Religione, pensi che ha da esser a se stesso morto, se tiene tanto capital di gratia dal Spirito Santo, che non si curi, né di morte, né di vita, né di infermità, o sanità; ma tutto come morto al mondo si dia tutto al compiacimento della volontà de Dio, sotto la perfetta obedienza de suoi superiori, abbandonando totalmente la propria voluntà, et habbia per gran guadagnio morire per il Crocifisso Christo Giesù Signore Nostro, il quale dice: Maiorem charitatem nemo habet, quam si animam suam ponat quis pro amicis suis».

Camillo aveva sperimentato al vivo la presenza di Cristo nei malati: davanti ai suoi occhi cadevano i veli del segno, così che li considerava davvero membra di Gesù Cristo, costituiti in regale dignità; Lui e i suoi religiosi si impegnavano a servirli con amore e fedeltà di «ministri».

Questo era l’autentico spirito camilliano che, vissuto profondamente il P. Tezza trasmetteva alla Vannini.

Oggi le Figlie di S. Camillo riportano fedelmente e in modo integrale la «formula vitae» nelle loro Costituzioni, come un prezioso tesoro che conserva intatto nel tempo la ricchezza dei suoi contenuti, perché è un’applicazione viva e autentica di quanto proclama il Vangelo, dove Cristo si identifica tanto con chi soffre, quanto con chi soccorre il bisognoso, poiché Egli è il vero Servo di Dio a favore degli uomini. 

Cristo si identifica con il sofferente

Fondamento della spiritualità di San Camillo e di Santa Giuseppina è l’evangelico:

«Tutto quello che avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me» (Mt 25,40).

«Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato...» (Mt 25,34-36). «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).

La Madre Vannini vive di questa fede, nella quale s’impegna a formare anche le sue Figlie, perché dal loro servizio promani la delicatezza e la devozione nel trattare i malati, visti come segno e sacramento della presenza di Cristo, sì che tutta la loro attività riceva una dimensione di culto.

C’è nella vocazione delle Figlie di S. Camillo una accentuata dimensione cristocentrica, che le fa vivere e operare in continuo rapporto con Cristo: tanto adorato e pregato nell’Eucarestia, come contemplato e servito nel malato.

È il Cristo della passione, dolente e con le piaghe aperte: fissandolo in quella condizione nasce la struggente compassione per ogni sofferente e si attiva la dedizione incondizionata, fino al dono totale della vita, per chi ha bisogno.

Non restano più limiti di dedizione in chi si accosta al Cristo crocifisso: l’amore totale chiede amore totale. Così per i Ministri degli infermi e le Figlie di S. Camillo viene il quarto voto che sigilla per sempre questa volontà di donazione, poiché «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).

Il quarto voto, infatti, riguarda il donarsi agli infermi anche a rischio della vita. Il Crocifisso, posto al centro della «Formula di vita», non può suggerire di meno. La Vannini ha inteso appunto completare nella propria carne «quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che é la Chiesa» (Col 1,24).

Nel Crocifisso le Figlie di S. Camillo scorgono con la loro Fondatrice un Cuore trafitto da una lancia: tema abbastanza tipico della fine dell’800, ma che esse vogliono sviluppare in un senso apostolico-operativo mediante la loro carità verso tutti gli uomini crocifissi.

Quel cuore trafitto, come indica il colmo della sofferenza di Gesù, così svela lo spasimo e la grandezza del dolore di ogni uomo, che la Beata Vannini vede avvicinandosi al sofferente, proponendosi il compito sacerdotale di offrire quel dolore a Dio, riportando i bisognosi di cure nel luogo sicuro di conforto e di salvezza che è Cristo.

Al Crocifisso la Santa si vuole accostare allo stesso modo di Maria: con un cuore di Madre, partecipe delle sofferenze del Figlio, unita nell’offerta al Padre per il bene di tutti gli uomini.

Maria le insegna come deve essere la persona che prende sul serio le sofferenze di Gesù, presente in ogni uomo che soffre: una persona intrisa di povertà e distacco da tutto, con una vita vissuta solo per Dio, fino alle ultime conseguenze del dono di sé.

Come Maria, la Vannini e le sue Figlie stanno in piedi davanti a Cristo Crocifisso e gli offrono la propria anima, perché Lui la pervada e trasformi, così che poi molti figli, i più bisognosi di tenerezza e misericordia, provino attraverso il loro apostolato la dolce presenza della Madre di Dio. 

All’articolo 68 delle Costituzioni delle Figlie della Vannini si legge: «Seguendo l’esempio di S. Camillo e dei Fondatori, ognuna si impegna nel ministero verso gli infermi «con ogni diligenza e carità, con quell’affetto che suol una amorevol Madre al suo unico figliolo infermo, secondo che lo Spirito Santo … insegnerà».

Abbiamo presenti le illuminate parole del padre Luigi Tezza: «Disposte per la carità a fare sempre qualunque più doloroso sacrificio, siatemi in questo sempre più generose» (LT 75-76).

Solo l’amore può operare miracoli. L’amore risveglia le energie più preziose della persona, e ha una virtù terapeutica purché sia vero amore, che proviene da Dio e a Lui conduce, un amore redento e redentore.

Sull’esempio di S. Camillo le religiose della Vannini intendono «vivere solamente per Gesù Crocifisso», modello di immolazione per la salvezza degli uomini: si configurano a Lui nella loro vita consacrata e da Lui attingono l’amore misericordioso verso i malati.

«Più siamo vicine al divin Maestro e più necessariamente dobbiamo aver parte alla sua croce, alle sue spine e alle sue umiliazioni (LT 228)»

Cristo si identifica con il «Buon Samaritano»

Santa Giuseppina Vannini, inoltre, contempla e vuole praticare le parole e i gesti di Gesù che concretamente mostra la sua speciale benevolenza verso i poveri e i deboli e, come il buon samaritano, ha compassione e si china sulle miserie umane, facendo esclamare: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e parlare i muti!» (Mc 7,37).

Nei Vangeli è evidente la solidarietà di Gesù verso i poveri, ed è noto il suo insegnamento che proprio di loro «è il Regno dei cieli».

Il fondamento di questo privilegio non sta in essi, ma in Dio e nella manifestazione misericordiosa del suo amore verso i deboli e gli sventurati: «Non è una ricompensa alle virtù dei poveri e dei piccoli, ma è la proclamazione dell’intervento regale ed efficace della misericordia divina, […] che si manifesta proprio là ove l’umano appare in tutta la sua condizione indifesa».

La povertà e la mitezza di Gesù sono caratteri della sua missione tra i poveri: rivelano il nuovo volto di Dio, che fa di ciò che è umanamente povero e umile il luogo privilegiato della sua infinita carità, mentre poi, nella croce, mistero di somma umiliazione ed amore, pone il centro della sua opera redentiva.

Questa realtà è ben chiara alla Vannini quando si dedica ai poveri, sofferenti e abbandonati. E altrettanto è chiara oggi alle sue Suore, che nella loro povertà — a cui si impegnano con voto —, con la loro mitezza — espressione della loro rinuncia al potere con il voto di obbedienza — vogliono essere segno e sacramento di quel Cristo che si china con amore preferenziale e gratuito verso i più fragili e spesso dimenticati.

Sono perciò due le linee fondamenti della vita della Vannini: progetto-ideale, per cui vuol vedere e servire Cristo nel malato; realizzazione progressiva e continua, per cui intende essere per l’ammalato un altro Cristo misericordioso, che si china per sollevarlo dalla sua situazione di sofferenza.

Per entrare in quest’ottica di Santa Giuseppina trova fondamentale avere una grande dimestichezza con il Vangelo: il libro da cui trae ispirazione, al quale attinge la forza per vivere nella gioia la sua vocazione e per ritrovare tutti i giorni le risorse dell’amore ai malati, della resistenza alla fatica, della costanza. 

Nel confronto con il Vangelo si affina quella umanità che S. Camillo esigeva dai suoi infermieri e che rappresenta la prima dote irrinunciabile di chi si consacri ai malati. «Tutto ciò che è umano — diceva S. Tommaso — e di Cristo. Per questo, Cristo, fratello universale, considerava rivolte a sé tutte le premure che si hanno per i fratelli bisognosi; ma ancora per questo Egli, nel trattare con le persone, con i malati in particolare, era animato da una grande umanità. Si è manifestata in Lui l’umanità di Dio (cfr. Tm 3,4), cioè l’amore per gli uomini, la sua bontà nobile e delicata.

Santa Giuseppina Vannini gusta in tutta la sua carica di novità la parabola del Buon samaritano, con cui Gesù descrive il modo con il quale Egli si è detto nostro Salvatore; e così ella, figlia di S. Camillo, si propone di comportarsi di fronte a tante sofferenze che vede per le strade del mondo e, per amore di Cristo che gliele affida, vuole essere donna benefica e provvida.

La mentalità o la teologia della Vannini è quella semplicemente dell’Incarnazione: del calarsi nella situazione umana più povera, dell’andare verso i malati.

Ai nostri giorni il Santo Papa Giovanni Paolo II ha detto nella Salvifici Doloris, n. 29:

«Il mondo della sofferenza invoca senza sosta un altro mondo, quello dell’amore umano; e quell’amore disinteressato che si desta nel suo cuore e nelle sue opere l’uomo lo deve, in un certo senso, alla sofferenza.

Non può l’uomo passare con indifferenza davanti alla sofferenza altrui. In nome della fondamentale solidarietà umana, e ancor più in nome dell’amore del prossimo, Egli deve fermarsi, commuoversi, agendo come il samaritano della parabola evangelica».

Cristo-Servo

La volontà di Gesù di mettersi a servizio degli altri costituisce come la nota dominante della sua vita, evidente in diversi passi evangelici, che lo mostrano orientato verso i poveri e i bisognosi, lui che ammonisce chiaramente «se qualcuno vuole essere il primo, sia l’ultimo e il servitore di tutti» (Mc 9,35).

Nell’ultima cena: «Preso un panno, se ne cinge; poi versa l’acqua in un catino e comincia a lavare i piedi ai suoi discepoli» (Gv 13,4-5). Con il lavare i piedi, compito riservato ai servi, Gesù Signore e Maestro è felice di rivelare il genere di sovranità che rivendica e che consiste nell’amare gli altri fino al punto di inginocchiarsi ai loro piedi per servirli. «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per il riscatto di molti» (Lc 22,27).

Questo «servire gli altri», che particolarmente si esprime nell’amore che perdona, ricerca teneramente il peccatore, affonda le sue radici nell’imitazione dell’amore del Padre. Per cui nella esistenza terrena di Gesù, la dimensione teologica del suo «servire il Padre» è la ragione ultima e determinante della novità cristiana nel suo «servire gli uomini».

La Madre Vannini sente quanto l’esistenza terrena di Gesù è tutta orientata all’essere per gli altri come servizio di amore senza limiti; e nel proporsi concretamente di mettersi a servizio dei malati, servizio professato con il quarto voto, non solo dà un fine apostolico a se e alle sue Suore, ma dà un distintivo specifico della propria appartenenza a Cristo – servo. 

Ella vuole, infatti, servire con totale disponibilità i malati, nell’esercizio delle opere di misericordia spirituali e corporali, anche con il rischio della vita, «negli ospedali — paradiso in terra — e in qualsiasi altro luogo, ritenendo «gran guadagno morire per il Crocifisso Cristo Gesù Signore nostro».

Sa che questo servizio è vero martirio non solo per coloro che daranno la vita per l’assistenza ai malati contagiosi, per peste, colera, tubercolosi, ecc., ma anche per quei Figli e Figlie di S. Camillo che hanno speso la loro vita nella dedizione diuturna e sempre estenuante.

Lo spirito di servizio di S. Camillo (che arrivava a dire ai malati: «Voi mi potete e dovete comandare, perché sono obbligato ad obbedirvi, essendomi fatto vostro servo e schiavo» ), lo troviamo intatto anche nella Madre Vannini che per imboccare i malati o capire meglio le loro parole e desideri si pone in ginocchio davanti ad essi.

«Era di esempio alle suore nella cura degli ammalati; anzi essa riservava a se i casi più gravi e ributtanti» .

Durante il vaiolo scoppiato a Cremona nel 1903, alcune suore andarono ad assistere gli ammalati al lazzaretto rimanendovi dentro isolate. La Vannini, «non potendo racchiudersi con loro come avrebbe desiderato, fece affacciare le suore alla finestra per dar la sua benedizione e confortarle a continuare con coraggio l’assistenza ai poveri malati. Nel partirsi da loro aveva gli occhi pieni di lacrime e non sapeva staccarsi da quel luogo a lei tanto caro» . 

Santa Giuseppina si sentiva in perfetta consonanza con quanto leggeva di San Camillo:

«Lungo la strada di Genova a Milano [nel 1595] qualcuno dei contadini si credette in dovere di render avvisati i viaggiatori che a Milano c’era la peste: e appunto per questo rispondeva con vivacità Camillo — appunto per questo vi andiamo. Arrivarono come Dio volle a Milano. I due religiosi destinati ad assistere stavano nel Lazzaretto da un mese circa e subito la mattina seguente Camillo, non potendo far di più, si portò sotto le finestre di quel triste luogo per rivedere i due fortunati suoi figli, per rallegrarsi con loro, invidiarne santamente la sorte e animarli a durare con fervore in quel sacrificio»

Contemplazione nell’Azione

Nella Madre Vannini, e quindi nella spiritualità del suo Istituto, la consacrazione a Dio si apre in una missione di servizio che porta al vero apostolato, il quale anima e permea ogni attività e ogni gesto, si tratti di un’elevata prestazione tecnica, o di una povera parola o un sorriso di conforto e speranza.

Tale apostolato, dunque, non è il semplice fare, ma è prestare un culto a Dio e diffonderne il Regno. Così la Beata Vannini è cosciente di portare a compimento la sua totale donazione come sacrificio offerto a Dio, nella Carità. 

Essa realizza in sé ciò che afferma il CIC al canone 675: «Negli Istituti dediti alle opere di apostolato, l’azione apostolica appartiene alla loro stessa natura. Perciò l’intera vita dei membri sia permeata di spirito apostolico e, d’altra parte, tutta l’azione apostolica sia animata dallo spirito religioso».

Già in S. Camillo questa verità era presente in modo netto. Così scrive lo storico M. Vanti : «Egli stava davanti ai poverelli come alla presenza del Signore, a capo scoperto; non di rado baciava loro, in ginocchio, i piedi, le mani; domandava ad essi umilmente perdono delle sue colpe come al divin Crocifisso. Le stesse espressioni che usava con Gesù, le usava con gli infermi: «Signor mio, cuor mio, anima mia, che vuoi da me? Che posso fare per te?». Camillo quando stava vicino ai malati dimenticava se stesso. «Più volte, imboccando il cibo ai malati, Camillo non trovava la loro bocca, come se avesse gli occhi abbagliati dallo splendore di quei poveri nel volto dei quali mirava il volto del Signore» .

Se la corsia era considerata da Camillo una chiesa, ogni letto poteva e doveva essere un altare e ogni malato un’ostia da consacrare e adorare. «Il mistero gli crebbe fede e amore; nonché pretendere di vedere Gesù nel malato, si tenne soddisfatto e fu felice di crederlo. E la fede glielo fece vedere».

Da tutto questo al Santo di Bucchianico era chiara un’idea per i suoi confratelli: «La preghiera più accetta al cuore del Signore è la vigile carità ai malati: preghiera di mani, sacrificio di corpo e di spirito, in amorosa e devota dedizione» .

Camillo voleva che i suoi religiosi giungessero allo spirito di orazione, così da far della propria vita preghiera. Ma lui stesso, che viveva nell’estasi della contemplazione, con le mani nella pasta della carità, e chiedeva che i suoi compagni vivessero la contemplazione, a un certo punto, mentre si mostrava un uomo di grande unione con Dio, sorprendendo l’uno o l’altro in preghiera quando il bisogno dei malati lo cercava e richiedeva, diceva: «Fratello mio, lascia Dio per Iddio. C’è un malato che ti cerca, che ha bisogno di te, corri da lui, è Gesù stesso che ti vuole nella persona di quel povero, che soffre e muore» .

E ancora: «È somma perfezione, finché ne abbiamo il tempo, di far bene ai poveri, aiutarli, […] poiché di contemplarlo non ci mancherà tempo in paradiso».

L’epistolario del Padre Tezza, maestro della Vannini, è la rivelazione di una straordinaria ricchezza interiore, che denota lo spirito di contemplazione in cui anch’egli viveva.

Da contemplativo qual era, egli scrutava e adorava Dio e i suoi sapientissimi disegni ai quali si abbandonava con l’adesione totale di se, «…adorando con piena fiducia e con caldo amore le disposizioni sempre infinitamente sagge, infinitamente sante e amorose di quel Dio che ferisce per risanare, che mortifica per vivificare e dispone di tutto con forza e soavità a maggior vantaggio di coloro che lo amano»

Questo pensava e viveva e questo trasmetteva alle Figlie di S. Camillo, in particolare a Madre Giuseppina.

L’abbandonarsi a Dio diventava, per il Tezza e per la Vannini, fonte viva di attività e di sapienza. Solo l’azione nata dalla preghiera era ricca e valida, secondo entrambi. 

Scrive lo storico Antonio Crotti: «Le molteplici attività svolte e le opere attuate a sollievo di quanti soffrono, sono un’espressione sensibile della fiamma di carità che ardeva nel grande cuore di padre Tezza, Ministro degli Infermi.

Costretto dalle circostanze a sacrificare per alcuni anni il vivo desiderio di rinchiudersi tra le corsie di un ospedale, trovò modo di esplicare la propria attività camilliana sotto mille altri aspetti.

Non un’occasione gli sfuggi; apri un ospizio per i poveri, organizzò l’assistenza ai malati nelle case private, cooperò efficacemente alla sistemazione di una moderna clinica a Lilla. Ma la testimonianza più bella resterà sempre la creazione della nuova Congregazione religiosa, tutta consacrata all’assistenza degli infermi».

Il padre Tezza, uomo di Dio, «trasfuse la sua pietà e il suo ardore d’apostolo e in particolare la sua carità per gli infermi, nella nascente Congregazione, che ne conserva e custodisce gelosamente lo spirito» .

Della Madre Vannini, il Decreto di Venerabilità dice: 

«Fomentò la sua unione con Dio per mezzo della meditazione e della contemplazione […], mentre con infaticabile ardore e spirito di sacrificio era a servizio del suo Istituto, progrediva incessantemente nell’imitazione del Maestro divino e nell’esercizio delle cristiane virtù, offrendo a tutti una splendida testimonianza di fede e di ardente carità. Infatti credete ciecamente in Dio, nella sua parola e nel suo amore. Fu sempre pronta a far la volontà di Dio e a lavorare per la dilatazione del suo Regno e per il bene delle anime».

Nelle Costituzioni delle Figlie di S. Camillo, al numero 87, si dice:

«Dio ci ha amati per primo e noi desideriamo rispondere al suo amore. Per questo cerchiamo di rendere sempre più personale la nostra relazione col Padre pieno di tenerezza, attraverso il suo Figlio Gesù, nel cui nome serviamo i malati, lasciandoci guidare dallo Spirito in tutta la nostra vita».

C’è dunque una fusione tra contemplazione e azione: 

la diaconia della carità è espressione dell’unione a Dio e l’unione a Dio diviene fonte della carità: uno stesso amore, una stessa carità in Cristo Gesù.

Mirando, attraverso uno sguardo contemplativo, le cose di questa terra, la Madre Vannini è stata capace di capirle e di trasformarle. Qui sta il segreto del bene che ella seppe avere per i sofferenti: bene che, toccando la carne malata, libera ed eleva l’anima d’ogni infermo verso Dio.  

La Vannini è un efficace richiamo alla società del nostro tempo tentata di egoismo e indifferenza di fronte alla realtà del dolore. Dimentica di se e pienamente dedita al servizio dei fratelli, ricca di una vita interiore fuori del comune, ella è un’autentica madre e apostola degli infermi e degli ultimi. Lei che ha vissuto un’esistenza, tutto sommato, semplice e senza gesti e manifestazioni esterne eccezionali, è certamente imitabile da tutti, ma è anche un forte sprone per persone generose che nella nostra epoca vogliono vivere una vera solidarietà con i più poveri e bisognosi. 

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