Formazione iniziale e il Mistero dell’Incarnazione
D. Marco Vitale
La festa del Natale ci ricorda che «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Nella sua pedagogia Dio sceglie di salvare l’uomo non a distanza o per interposta persona ma decide di coinvolgersi in prima persona.
Da questa scelta, e dalle sue conseguenze, prende forma un paradigma specifico che corrisponde alle intuizioni della teologia dell’Incarnazione. Un modello, costituito da dinamiche che – nel loro insieme – creano processi di «incarnazione».
In questa breve riflessione mi pongo la domanda se questo modello pedagogico dell’Incarnazione offra qualche suggerimento prezioso, per la formazione iniziale alla vita consacrata femminile.
La risposta sintetica è, senza dubbio, positiva.
Il primo punto di contatto tra la formazione iniziale alla vita consacrata e il modello di Incarnazione è l’Annunciazione: «concepirai un Figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù» (Lc 1,31).
Dio rivolge, tramite un messaggero autorevole – l’Arcangelo Gabriele -, il suo invito ad una giovanissima donna, Maria, che ormai stava per sposarsi.
Tutto questo, cosa può dirci, nel nostro riflettere insieme?
Innanzitutto, Maria riceve un annuncio autorevole che rende credibile l’incredibile.
Dovremmo chiederci se la nostra pastorale giovanile/vocazionale sia un annuncio autorevole perché è a partire da questa attività pastorale che si possono accompagnare le ragazze a fare discernimento sulla loro vocazione.
«Ricordo che nel 1994 si fece un Sinodo sulla vita consacrata. Io ero venuto come delegato dell’Argentina. Allora era scoppiato lo scandalo delle novizie nelle Filippine: le Congregazioni religiose andavano lì alla ricerca di vocazioni da «importare» in Europa. Questo è terribile» (Papa Francesco).
Questa testimonianza ci ricorda i danni che certe forme di “promozione” vocazionale hanno provocato nei decenni passati con proposte non credibili e che hanno dato vita a tante storie dolorose.
Maria quando vive l’esperienza dell’Annunciazione era già promessa sposa di Giuseppe e quindi aveva già organizzato tutto ma non ancora era tutto realizzato in pienezza.
Questo ci ricorda che la chiamata di Dio si matura, ordinariamente, in una fase della vita ancora giovane ma dopo essersi confrontati, in qualche modo, con la vita in modo sufficientemente maturo.
Oggi la questione non è esclusivamente anagrafica ma anche culturale perché un certo grado di autonomia personale lo si raggiunge in tempi diversi nelle diverse aree del mondo.
Sappiamo dal Vangelo di Luca (1,39-40) che subito Maria «andò in fretta» a trovare la cugina Elisabetta. Prontezza, rapidità, movimento sono le tre parole che caratterizzano questo episodio evangelico e che ci possono aiutare nella nostra riflessione.
Generalmente, nelle Ratio formative gli istituti religiosi chiedono tanti requisiti ai candidati ma poco o nulla chiedono a sé stessi, forse perché potrebbe sembrare ovvio, e allora mi soffermo volentieri su alcune sfumature.
Prontezza
I nostri Istituti religiosi sono davvero pronti ad accogliere nuove candidate? Si prega molto per le nuove vocazioni, ma se una giovane ragazza chiedesse di fare un’esperienza in una casa religiosa saremmo realmente pronti ad accoglierla?
E se chiedesse di entrare, saremmo pronti a fare un progetto per formarla a partire dalla sua storia personale?
Molto spesso la nostra prontezza è soprattutto formale ma non sostanziale. Del resto, tutti conosciamo seminari con tanto di superiori senza seminaristi e case di noviziato, con tante di maestra, vuote.
Per una buona formazione iniziale servono strutture, soldi e persone a loro volta formate e con esperienza perché non ci si improvvisa formatrici.
Rapidità
Nella Chiesa esiste una «lentezza» sapiente, prudente, saggia ma anche, troppo spesso, una «lentezza» mentale, menefreghista, burocratica, del pensare che prima o poi le cose si sistemino da sole.
Questo atteggiamento non è né buono né evangelico e va cambiato – soprattutto nei confronti della formazione iniziale – altrimenti formeremo altre religiose condizionate da questo atteggiamento negativo.
Non si possono aspettare 8-9 anni per dimettere una professa semplice, non si può aspettare l’ultimo momento per dare una destinazione, non si può non essere «rapidi» nell’intuire le fragilità, le patologie, i desideri, i bisogni, i valori, i carismi, le resistenze e le chiusure di una candidata perché la vita oggi corre molto più veloce di quanto non corresse solo 20 anni fa.
Movimento
Innanzitutto, come atteggiamento mentale. Nonostante tutte le scienze umane lo affermino con indiscutibile chiarezza e noi affermiamo di essere d’accordo con i loro postulati, di fatto, continuiamo a credere che una buona formazione iniziale sia quella che accoglie la ragazza in entrata e la trasforma, nel modo migliore possibile, al modello che noi abbiamo in testa per una postulante, novizia, juniores o professa solenne.
Questa è una violenza umana e spirituale! Umana perché una donna va accompagnata nel discernimento e non solo nell’assumere atteggiamenti esteriori, secondo i nostri criteri, ed è anche spirituale perché, anche se non lo affermiamo esplicitamente, – di fatto – togliamo a Dio la libertà di chiamare a sé quelli che lui vuole (cf. Mc 3,13).
Concludo augurando a tutti noi, soggetti e oggetti di formazione, che la contemplazione dell’Incarnazione possa aprire il cuore e la mente per poter trovare modi sempre più efficaci e credibili per fare la volontà di Dio, senza paura del cambiamento perché solo ciò che è morto è immutabile.
Del resto, se Dio si fosse incarnato oggi lo avrebbe fatto attraverso un’adolescente di 13-15 anni e in Israele?